Ai dubbi sul gettito del “nuovo” canone Rai in bolletta espressi dal Servizio bilancio di Camera e Senato, vorrei aggiungere qualche considerazione critica sugli aspetti giuridici della riprogettazione del prelievo, muovendo proprio dal testo inserito nell’art. 10 del disegno di legge di stabilità 2016.

Anzitutto, va osservato che il citato art. 10 (la cui rubrica, “Riduzione canone RAI”, nasconde un ben più incisivo intervento) non modifica il presupposto impositivo, cioè il “fatto economico” che fa sorgere l’obbligo di corrispondere il canone, intervenendo piuttosto - vedremo tra un attimo con quali effetti - sul regime probatorio e i meccanismi di riscossione.

Va rammentato che la definizione del presupposto risale al r.d. n. 246 del 1938, secondo cui “chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento…”.

Secondo la Corte Costituzionale, come ricordato in quest'altro post, il canone radiotelevisivo avrebbe natura di vera e propria “imposta” (di scopo), correlata a un indice di capacità contributiva, ovvero il  possesso di un apparecchio atto a captare le trasmissioni via etere dei programmi radiotelevisivi pubblici, indipendentemente  dalla loro effettiva fruizione e finanche dalla concreta possibilità di riceverli. Per la Corte, “il cosiddetto canone di abbonamento… benché all’origine apparisse configurato come corrispettivo dovuto dagli utenti del servizio riservato allo Stato… ha da tempo assunto nella legislazione natura di prestazione tributaria…. Ed è sotto tale profilo che questa Corte, chiamata a pronunciarsi in riferimento all’art. 53 della Costituzione, dichiarò non fondate le relative questioni, aventi ad oggetto gli articoli 1, 10 e 25 del r.d.l. n. 246 del 1938, ritenendo che l’indice di capacità contributiva consistente nella mera detenzione di un apparecchio televisivo non potesse configurarsi irragionevole”  (si veda la sentenza n. 284/2002, e ivi i riferimenti alle precedenti pronunce sul tema).

Orbene, il ddl di stabilità non contiene innovazioni quanto alla natura del fatto generatore dell’obbligo impositivo (il possesso di apparecchi radiotelevisivi), incidendo tuttavia sulla “prova” di tale presupposto: la nuova disposizione sancisce infatti che “la detenzione o l’utilizzo di un apparecchio si presumono… nel caso in cui esista una utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica”, e che tale presunzione può essere superata soltanto con una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ai sensi dell’art. 47 Dpr 445/2000, da presentare all’Agenzia delle entrate, la cui falsità è punita ai sensi dell’art. 495 del codice penale. Quanto al pagamento del canone, questo avverrà mediante addebito sulle relative fatture da parte delle aziende erogatrici di energia elettrica, trasformate in “esattori” per conto dell’erario.

Con riguardo alle disposizioni in esame si possono effettuare le seguenti riflessioni. In materia tributaria l’utilizzo di presunzioni legali “relative” (cioè suscettibili di prova contraria) è generalmente ammesso dalla giurisprudenza costituzionale, purché si tratti di presunzioni dotate di un minimo di ragionevolezza, dato un certo legame probabilistico tra fatto noto e fatto ignoto. La Corte Costituzionale si è tante volte pronunciata sui limiti entro i quali tali presunzioni possono ritenersi legittime, richiedendo che le stesse siano non arbitrarie, fondate su elementi concreti che le giustifichino razionalmente, rispettose del  principio di ragionevolezza, pena una violazione dell’art. 53 e di altri parametri costituzionali (artt. 3, 24 etc.). Si pensi ad esempio alla recente sentenza sull’equiparazione a “compensi” dei prelevamenti bancari dei professionisti (n. 228/2014), o a sentenze più risalenti come la n. 200/1976 e molte altre precedenti.

E qui veniamo al primo elemento di criticità: non sembra proprio, in effetti, che la nuova presunzione di possesso di un apparecchio radiotelevisivo, desunta dall’esistenza di un’utenza elettrica, risponda ai requisiti posti dalla Corte, cioè quelli di ragionevolezza, non arbitrarietà, concretezza, etc.: non esiste alcuna correlazione o nesso inferenziale tra un’utenza elettrica e il possesso di un televisore, non più di quanto esista riguardo a un tostapane, un impianto hi-fi, una lavatrice o un aspirapolvere. Per far funzionare un apparecchio radiotv vi è di norma bisogno dell’energia elettrica, ma il disporre di un’utenza elettrica (fatto noto) non ha alcun legame col fatto da dimostrare, ovvero la detenzione di un apparecchio tv. La titolarità di un’utenza elettrica non sembra insomma un elemento su cui fondare una non irragionevole presunzione di possesso di un apparecchio tv, dunque la presunzione introdotta dal ddl di stabilità rischia di non passare il vaglio della Corte, che verosimilmente sarà chiamata a esprimersi sulla questione.

Il secondo elemento su cui soffermarsi attiene alla prova contraria alla presunzione di possesso dell’apparecchio tv: questa, anziché essere “libera”, è a regime vincolato, giacché l’unico mezzo per vincere la presunzione è la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà. È evidente l’intendimento del legislatore: non potendo escludere in radice la possibilità di prova contraria (una presunzione assoluta sarebbe de plano incostituzionale), vincolarne  l’esperimento ad una autodichiarazione assistita da sanzioni penali dovrebbe dissuadere i contribuenti dal dichiarare il falso.

Peccato che l’autodichiarazione, avente ad oggetto il “fatto” di non possedere – a una certa data - un apparecchio tv, non possa che valere per il momento in cui viene rilasciata. Nulla infatti impedisce di dichiarare che non si possiede una tv, e andare il giorno dopo a comprarla; oppure, per chi già la possiede, trasferirla il giorno dopo (regalandola, dandola in comodato, e così via) a un amico o parente, facendosela poi restituire. In materia di cose mobili la proprietà si trasferisce senza formalità di sorta, ed altrettanto semplice è spostare la detenzione di un bene su un altro soggetto.

È vero che l’art. 10 del r.d. del 1938 richiede che l’utente che voglia dare disdetta del canone tv e sia intenzionato a cedere l’apparecchio deve comunicarlo all’Agenzia delle entrate insieme alle generalità del cessionario (che sarà, in ipotesi, un utente RAI), ma nessuna norma obbliga ad effettuare una analoga comunicazione in senso inverso, di ritorno del bene dal cessionario (che non voglia cessare la propria utenza) al primo cedente. Il quale, alla scadenza dell’anno successivo, potrà ritrasferirlo nuovamente e quindi dichiarare di non possedere alcun apparecchio (ammesso che l’autodichiarazione vada effettuata annualmente).

Ma anche a prescindere da tutto questo, il possesso di un televisore può essere appurato soltanto a seguito di un accesso domiciliare, ammissibile soltanto se autorizzato dal Procuratore della Repubblica in caso di gravi indizi di violazioni della normativa tributaria: mezzo di accertamento che, francamente, si fatica ad immaginare impiegato a tappeto per entrare nelle case degli italiani onde verificare se possiedono la tv. Ed anche a quel punto, non vedo come potrebbe essere contestato il mendacio dell’autodichiarazione, visto che l’accertamento del possesso di una tv in presenza di una previa autodichiarazione “negativa” potrebbe soltanto significare che il possesso è iniziato successivamente alla data di riferimento della dichiarazione, e non che quest’ultima era falsa.

Il punto è che l’autodichiarazione sostitutiva ha senso se deve attestare l’esistenza di status soggettivi (ad esempio, l’essere o meno sposato), l'aver conseguito un titolo di studio, e altre situazioni rilevanti come fatti storici, riscontrabili documentalmente o comunque in modo oggettivo. Il possesso di una cosa mobile può invece essere acquisito o perso in qualsiasi momento, senza alcuna formalità. Dunque la presunzione introdotta dal ddl di stabilità rischia soltanto di produrre effetti criminogeni, inducendo i cittadini a rilasciare dichiarazioni mendaci la cui falsità non potrà in concreto mai essere contestata.

L’autodichiarazione di “non possedere una tv” rimanda a strumenti probatori arcaici, all’istituto del “giuramento”, come quello che Matteo Pescatore proponeva di deferire ai contribuenti  per costringerli a dichiarare di avere o no riscosso interessi per il possesso di rendite estere (La logica delle imposte, 1867, pag. 144). E la sua inadeguatezza conferma, su  un piano più generale, il carattere velleitario di ogni imposizione di stampo patrimoniale estesa a beni non tracciabili, cioè la cui titolarità non risulti da pubblici registri (come immobili o partecipazioni societarie) o da altre evidenze oggettive.

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