PERCHÉ MAI UN CONDONO?
di Maria Cecilia Guerra 11.10.2011Il condono fiscale è la legittimazione di un atto illecito, è un premio per chi ha violato le leggi, è un gettare la spugna da parte dell'amministrazione, è una delegittimazione delle imposte come strumento democratico di finanziamento della cosa pubblica. Rappresenterebbe un'ulteriore perdita di reputazione per il nostro paese, cosa di cui non abbiamo proprio bisogno. Non è neppure detto che assicuri un gettito all’erario, né che aiuti i contribuenti in maggiore difficoltà.
Il condono fiscale è la legittimazione di un atto illecito, è un premio per chi ha violato le leggi, è un gettare la spugna da parte dell’amministrazione, è una delegittimazione delle imposte come strumento democratico di finanziamento della cosa pubblica. Rappresenterebbe un’ulteriore perdita di reputazione per il nostro paese. Cosa di cui non abbiamo proprio bisogno.
Non è neppure detto che il condono assicuri un gettito all’erario, né che aiuti i contribuenti in maggiore difficoltà.
IL CONDONO HA DEI COSTI
L’ipotesi di ricorrere a nuovi condoni è sostenuta con forza da rappresentanti di primo piano della maggioranza con la motivazione che potrebbero assicurare un gettito immediato in una situazione di grande difficoltà.
Il ragionamento, però, non tiene conto del fatto che un condono ha dei costi molto rilevanti per la collettività, come dimostra in modo chiaro l’esperienza della stagione dei condoni fortemente voluta da Giulio Tremonti nel 2002-03.
1) Costi operativi per l’amministrazione finanziaria
L’amministrazione finanziaria è stata pesantemente coinvolta nella preparazione e gestione dei condoni del 2002-03, che hanno richiesto la predisposizione di circolari, risoluzioni, modulistica, tecniche di trasmissione dei dati, nonché l’assistenza ai contribuenti interessati (e ai loro consulenti). Tutte attività che hanno sottratto tempo all’azione di contrasto e prevenzione dell’evasione.
È stata costosa la svendita a basso prezzo dell’attività di accertamento pregressa condotta dall’amministrazione, operata con i provvedimenti di condono attraverso la cosiddetta “rottamazione dei ruoli”. È stata costosa l’invenzione di Tremonti del condono anonimo, un vero inedito nel panorama internazionale. Col condono anonimo infatti, così come con i primi due scudi fiscali, il contribuente che aveva sanato la sua posizione poteva darne informazione all’amministrazione anche in una fase molto avanzata dell’accertamento, vanificando il lavoro da essa svolto sino a quel momento.
2) Costi per mancato recupero dell’evasione
Il recupero di gettito attraverso il contrasto all’evasione e il recupero di gettito attraverso il condono sono, come ovvio, in larga parte sostitutivi. Va allora ricordato che sulla scommessa di recuperare gettito con l’introduzione di nuove misure di lotta all’evasione fiscale (primo fra tutti il nuovo redditometro) questa maggioranza ha così tanto contato da utilizzarne i proventi attesi come strumento di copertura di parte delle minori entrate o maggiori spese previste nei propri provvedimenti. La Corte dei Conti ha certificato che il gettito atteso da misure di contrasto all’evasione per il quinquennio 2009-13 è stato indicato fra gli strumenti di copertura dei principali provvedimenti adottati nel biennio 2008-2010, per circa 37 miliardi complessivi.
Il decreto legge 138/2011 (la manovra di agosto) aggiunge a questi quasi 4 miliardi di entrate attese dalle nuove norme antievasione. L’approvazione di un condono vanificherebbe molte di queste attese. Il gettito del condono sarebbe quindi in tutto o in buona parte ipotecato per coprire il buco di bilancio che si verrebbe inevitabilmente a creare.
3) Costi per minore tax compliance
Quando all’“ultimo condono” se ne aggiungono altri, a distanza di poco tempo l’uno dall’altro, si generano aspettative di nuovi condoni nel futuro. Ciò alimenta la tendenza all’evasione. Anche in questo campo l’esperienza dei condoni 2002-03 è stata particolarmente drammatica: l’annuncio di un prossimo condono, dato quando i termini delle dichiarazioni erano ancora aperti, ha comportato una contestuale, tangibile, diminuzione della compliance.
Il ripetersi dei condoni può poi indurre a evadere anche contribuenti “onesti”, che si stancano di vedere premiati comportamenti illegali.
Il condono è una manifestazione di debolezza dell’amministrazione tributaria e una dichiarazione esplicita del governo circa la propria incapacità a fare rispettare le norme tributarie. Questa perdita di credibilità allenta la deterrenza e favorisce quindi l’evasione fiscale, che fa calare il gettito.
IL GETTITO PREVEDIBILE È INFERIORE AL PASSATO
Rispetto alle esperienze del passato, ci sono ora almeno due ulteriori elementi da considerare nel valutare le attese di gettito di un eventuale condono.
In primo luogo, gli evasori che hanno portato all’estero, illegalmente, il frutto della loro evasione hanno già goduto del loro condono: lo scudo fiscale del 2009-10, che ha messo al sicuro da ogni accertamento redditi evasi per più di 100 miliardi. Un nuovo condono interesserebbe quindi solo quelli che hanno tenuto i capitali in Italia.
In secondo luogo, non è più possibile effettuare condoni che coinvolgano l’Iva. Il condono del 2002-03 è stato infatti condannato nel 2008 dalla Corte di giustizia, in quanto “rinuncia generale e indiscriminata al potere di verifica e rettifica da parte dell’amministrazione finanziaria”, in violazione di principi fondamentali dell’ordinamento comunitario, a difesa della concorrenza: la neutralità delle imposte e la non discriminazione nel trattamento fiscale.
BUONI CON GLI EVASORI, CATTIVI CON GLI ONESTI
Il condono è tanto più efficace quanto più è conveniente per l’evasore. E all’evasore, con i condoni del 2002-03, sono effettivamente stati fatti ponti d’oro. Si pensi alla già citata possibilità di ricorso alle dichiarazioni anonime, che evita all’evasore di palesarsi al fisco, assicurandogli la tranquillità di potere continuare a evadere negli anni successivi. Si pensi inoltre al fatto che, mentre nei condoni precedenti la controversia con il fisco si considerava estinta a condizione che il pagamento degli importi dovuti non versati e iscritti a ruolo venisse poi effettuato regolarmente, in base alla normativa del 2002, con il versamento della prima rata il condono risultava comunque definitivamente efficace. Ciò ha indotto molti soggetti a non versare gli importi dovuti dopo la prima rata. Ancora oggi sono più di quattro i miliardi che mancano all’appello per questa ragione.
Il condono si accompagna sempre a un inasprimento dei controlli su chi non vi aderisce. Nel 2002-03 la minaccia di controlli più severi è stata usata come ricatto per spingere all’adesione anche soggetti che non avevano evaso.
Il condono non è certo principalmente volto a sanare la difficile situazione in cui si trovano, in periodi di crisi, molti contribuenti marginali, da cui comunque otterrebbe poco in termini di gettito.
È dimostrato, infatti, che nel 2002-03 ad aderire ai condoni sono stati in misura relativamente maggiore le società di capitali, con più elevato volume d’affari, del Centro-Nord. Ciò è avvenuto anche per l’interesse dei manager a mettersi comunque al riparo dal rischio penale di possibili controlli.
Non ce n’è abbastanza per evitare al paese questo ennesimo “porcellum”?
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