La pubblicità dell'agenzia delle entrate contro i parassiti della società , rappresentati dagli evasori fiscali, si inserisce nelle lacerazioni sociali alimentate dalla visione antropologica dell'evasore fiscale, ma come si fa a considerare un parassita della società chi ti vende le verdure, chi ti fa i capelli, chi ti gestisce il trasloco, chi ti viene a riparare lo scaldabagno, e tutta la platea enorme di chi evade "tanto di poco", forse poco più di uno stipendio pubblico, interamente tassato certo, ma guadagnato in modo molto più comodo, fino al punto di passare il badge ad alcune ore di distanza, quando non ce lo fa un amico, stando  al telefono, leggendo il giornale, facendo un doppio lavoro. dietro l'idea del parassita c'è una fuorviante immagine corrispettiva della tassazione, come se ci fosse una corrispondenza tra le tasse che paghi e i servizi che ricevi, come se non ci fosse la gigantesca intermediazione pubblica, dove qualcuno  riceve servizi per cui non paga, e qualcun altro paga per servizi che non riceve. Vogliamo  parlare dell'efficienza della spesa pubblica? Vogliamo parlare della microcorruzione diffusa per qualsiasi cosa? degli ospedali pubblici che costano come le cliniche di Los Angeles e dove crepi come in un vecchio lebbrosario di calcutta? No, meglio  non parlarne, sono discorsi che non c'entrano con la determinazione della ricchezza ai fini tributari, che semplicemente non è progettata per intercettare "gli autonomi", quelli che evadono tanto di poco. La tassazione attraverso le aziende già comincia a scricchiolare sulla "Piccola azienda", dove spesso ci sono i grandi  evasori, che spesso riescono a evadere tanto di tanto, con una spregiudicatezza sfacciata, ma in genere evadono una piccola quota di grandi ricchezze, che invece tassano in capo a consumatori e fornitori..certo , soprattutto lavoratori dipendenti. Al tempo stesso, molti grandi evasori, attraverso le loro aziende, sono anche organizzatori della produzione e  "grandi esattori del fisco". Creano ricchezza per tutti e ne nascondono una piccola parte, come se fosse una specie di "aggio esattoriale", visto che appunto gli esattori del fisco sono loro. Credo che i famosi 120 miliardi di euro di imposte evase non dipendano dai grandi evasori, se si tiene conto che le aziende italiane con più di 30 dipendenti sono 40 mila. E quanto dovrebbe evadere ognuna di loro? Solo che usare le aziende come "grandi esattori" crea inevitabili  squilibri, perchè è impossibile replicare, dove esse non arrivano, la precisione ragionieristica con cui gestiscono la tassazione. Attraverso le aziende spacchiamo il capello in quattro, mentre dove mancano, gli uffici dovrebbero andare a spanna, per ordine di grandezza, accontentandoci di risultati "credibili". Già sarebbe un buon compromesso, ma per via del deficit conoscitivo, nell'opinione pubblica, della tassazione attraverso le aziende, siamo ben lontani dalla credibilità. Gli "evasori", cioè quelli che non sono intercettati dalle aziende,  li malediciamo, li mettiamo alla berlina, ma alla fine non li tassiamo. Perchè non sappiamo come intervenire dove le aziende non arrivano. Perchè la concezione moralistica dell'evasione fiscale presso l'opinione pubblica disperde i controlli sul regime della ricchezza registrata, e rende persino imbarazzante la richiesta delle imposte dove le aziende non arrivano. Insomma "blocca tutto". E poi spinge a controllare gli esattori, non su quello che nascondono, ma su quello che registrano, perchè "se la spiegazione è la cattiveria o l'onestà allora mica mi direte che le aziende sono  buone, e poi oltre ad essere "cattive" rimpinguano le statistiche. Un grande contribuente "tutorato" rende come duecento tra garagisti, albergatori, parrucchieri, baristi, trasportatori e carrozzieri, che oltretutto farebbero un sacco di storie. E cosa farebbero gli onestissimi dipendenti, gli "eroi fiscali" se non ci fossero le aziende che li tassano? Comprerebbero tutte le mattine la Gazzetta ufficiale per vedere quanto devono pagare? Grazie a questi equivoci in Italia i controlli fiscali "si sprecano", nel vero senso della parola. Cioè si disperdono dove non servono a nulla. Siccome la "lotta all'evasione" non si può trasformare nella punizione degli autonomi, si trasforma di fatto in una "richiesta delle imposte", però su  quattro gatti, e comunque per cifre giustamente gestibili, se guardiamo il "definito medio". Siccome quello che l'autonomo dichiara è la "base d'asta" di una eventuale richiesta delle imposte, c'è la tendenza a tenersi bassi. L'autonomo sfacciato dichiara il 20 percento del reale, lìautonomo normale il 40, e l'autonomo onesto magari anche il 70. Ma è verosimile che nessuno dichiari  l'effettivo, vista la forte prospettiva che nessuno glielo chieda. Gli unici in crisi sono gli autonomi davvero a basso reddito, i cui affari vanno  male davvero, Ai quali le caratteristiche esteriori e la comune esperienza attribuiscono un reddito superiore a quello effettivo.  Ma sono quattro gatti. E comunque anche loro si guardano bene dal dichiarare l'effettivo, ma sono più esposti ai controlli. e sono  anche i più arrabbiati, ottimo pretesto per gli altri...

 

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