Agli attentati di Parigi sono seguite come prevedibile molteplici reazioni e analisi anche sul versante giuridico: per molti autorevoli commentatori (come Enrico Letta) gli attentati non sarebbero riconducibili affatto allo “Stato islamico”, l’Isis, posto che quello che così si autodefinisce non sarebbe uno Stato.

Dietro a questa negazione si intravede l’esigenza, per certi versi comprensibile, di non fornire “legittimazione” e patenti di sovranità all'"organizzazione” in questione; altre volte si tratta invece di letture tese a liquidare gli attentati di Parigi come un problema di ordine pubblico interno, e a mettere così sotto accusa una fallimentare politica sociale di integrazione, da parte della Francia e degli altri Paesi europei.

Sulla reale natura del sedicente “Stato islamico” – gruppo terroristico o vera e propria organizzazione statuale - sembrano però esservi evidenze del contrario.

L’"organizzazione” in questione controlla un ampio territorio ed esercita poteri “sovrani” su una popolazione di alcuni milioni di persone. Impone la legge coranica, amministra la giustizia, presta servizi "pubblici" socio-assistenziali e di varia altra natura, dalla scuola alla sanità, dall’ordine pubblico alla raccolta delle immondizie. Batte moneta (anche se dal valore simbolico). E mantiene un “esercito” di combattenti.

E per far fronte a tutte queste spese l’Isis utilizza i classici strumenti della “finanza patrimoniale”, cioè lo sfruttamento di beni demaniali (vendita di petrolio, diritti sul saccheggio delle zone archeologiche), oltre a prestiti forzosi irredimibili e  veri e propri tributi, come un prelievo alla fonte sugli stipendi dei dipendenti, una tassa sui movimenti bancari, l’imposta religiosa (zakat), una “decima” prelevata sulle entrate dei non musulmani, e così via. Vi è insomma l’esercizio dei tipici poteri sovrani su un territorio e una popolazione, al di là della condivisione che tale popolazione possa o meno avere dei fini e dei “valori” dello Stato-apparato che la governa.

Se sul piano della sovranità interna e del principio di effettività vi sono a mio avviso pochi dubbi sulla natura di vero e proprio “Stato” di quello che si fa chiamare Isis, sul piano dei rapporti internazionali non va trascurato che assume precipuo rilievo lo Stato-apparato, “soggetto” del diritto internazionale, che qui certo non manca. Mentre il riconoscimento da parte degli altri Stati ha come noto valore soltanto “dichiarativo”, e non “costitutivo”: l’esistenza di uno Stato è una quaestio facti, e non dipende dal riconoscimento degli altri Stati. In ogni caso, il riconoscimento può comunque avvenire anche in modo tacito o per fatti concludenti.

E in tale categoria mi sembra rientrare la rappresaglia armata della Francia alla violazione del diritto internazionale dello Stato offensore (l’Isis), che del resto ha rivendicato gli attentati (con dichiarazioni che non mi risulta siano state smentite). L’Isis ha insomma assunto la paternità degli attentati, li ha verosimilmente organizzati, e si è avvalsa di “agenti” operanti sul territorio dello Stato oggetto dell’attacco armato: e la Francia sta rispondendo a quella che, mi sembra non a torto, è stata considerata una dichiarazione di guerra, e non un’azione terroristica di singoli individui.

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