Una giurisdizione può essere compresa solo attraverso la funzione istituzionale in cui si inserisce, con una macroscopica eccezione. Mi riferisco alla funzione di giustizia, di risoluzione delle controversie tra privati ne cives ad arma ruant , che è fine a se stessa, autoreferenziale, non si innestandosi su altre funzioni pubbliche "a monte". Prima del diritto giurisdizionale non c'è altro diritto e le discussioni stragiudiziali tra privati, la redazione dei contratti, si svolgono tutte sullo sfondo di https://www.cialissansordonnancefr24.com/cialis-pas-cher/ un possibile intervento dei giudici (non mi posso soffermare sul diritto giurisdizionale penale e sul suo intreccio con le funzioni di sicurezza pubblica è già più complesso, intrecciandosi con la funzione pubblica di sicurezza). Il miglior assetto del contenzioso tributario va quindi ricercato partendo dalla funzione istituzionale tributaria cioè la determinazione dei tributi e , strumentalmente, della ricchezza cui i tributi di gran lunga più importanti, cioè le imposte, si riferiscono. Il ruolo della funzione giurisdizionale rispetto alla determinazione dei tributi può essere illustrato con un esempio  provocatorio. Immaginiamo cosa accadrebbe se, invece di riformare la giurisdizione tributaria, la si abolisse del tutto. Salta agli occhi, rispetto alla giurisdizione civile, una differenza talmente macroscopica che nessuno la nota. Se eliminassimo la funzione pubblica di giustizia si tornerebbe all’uso privato della forza e verrebbe meno il diritto (tornando ad arma secondo l’antico brocardo indicato poco sopra).  Eliminando  per assurdo il processo tributario, la funzione istituzionale di determinazione delle imposte rimane giuridica, da parte degli uffici tributari, su cui graverebbe un controllo sociale politico e mediatico, il che non è poco in una società pluralista (a parte le possibili reazioni personali del contribuente, tipo “ti aspetto sotto casa” paventate qualche giorno fa su striscia la notizia a proposito dell’agenzia delle entrate). La provocatoria abolizione del processo farebbe venir meno un motivo di deresponsabilizzazione degli uffici tributari, che oggi tendono troppo a “scaricare sui giudici” determinazioni effettuate cautelativamente "al rialzo". Insomma, forse addirittura il saldo tra inconvenienti e vantaggi dell’abolizione di ogni giurisdizione tributaria sarebbe addirittura a vantaggio dei secondi, ma non è un'ipotesi percorribile, solo una pietra di paragone. Ma questi sogni provocatori ci ricordano che la determinazione dei tributi non è una funzione giurisdizionale, bensì di amministrazione attiva. Ne discende che il processo è di impugnazione e che nessuna  forma di determinazione della ricchezza in via giudiziale (imposizione giudiziale) potrà mai essere adeguatamente sistematica. Sono quindi perfettamente d’accordo con gli sfondi prospettati dai colleghi che mi hanno preceduto, su cui inserirei alcune sintesi, variazioni e precisazioni. Siamo tutti d’accordo , mi pare, che i giudici debbano essere a tempo pieno e omogenei, e che il carico di lavoro, cioè il numero di pratiche da definire in via  giurisdizionale, debba essere ridotto, con un potenziamento del contenzioso amministrativo. Concordo con Del Federico sulla necessità di abbandonare lo schema del ricorso in opposizione per l’accertamento con adesione, una volta che l’atto è stato emesso (in precedenza invece l’adesione è una variazione sul tema del normale contraddittorio amministrativo, e può rimanere). Resta la necessità di un filtro per le controversie estimative , che già sono tante, ma dovrebbero auspicabilmente aumentare, perché la determinazione della ricchezza ai fini tributari, quando non sono coinvolte organizzazioni amministrative , è essenzialmente valutativo-estimativa. Che poi questo filtro sia incardinato nelle commissioni provinciali o in organi di contenzioso amministrativo è un punto da approfondire. L’importante è eliminare gli imbarazzi e le cautele del ricorso in opposizione e nello stesso tempo “gestire” gli attuali magistrati tributari, valorizzando ad esaurimento l’esperienza da loro acquisita. Nel solco delle riflessioni “amministrativistiche” di Del Federico mi sembra fisiologico che il giudice possa fornire anche una tutela “non sostitutiva”, annullando l’atto per irragionevolezze o illogicità (oltre che per motivi formali non attinenti a prova o motivazione), ma rinviando all’amministrazione per rideterminare la pretesa, nei limiti del petitum e della causa petendi. Spesso, infatti, il giudice si rende conto che l’ufficio ha commesso, anche nelle controversie di stima (incluse quelle basate su “indizi contabili”, come le indagini bancarie, o le frodi carosello) errori metodologici, senza essere in grado di svolgere però interventi sostitutivi di imposizione giudiziale. In tal caso potrebbe essere esplicitamente consentito il rinvio all’ufficio per una rideterminazione, secondo lo schema della giurisdizione amministrativa, a nulla rilevando l’intervenuto decorso del termine di decadenza. Resterebbe ovviamente ferma, sulle questioni di diritto e su quelle adeguatamente istruite in punto di fatto, la possibilità di pronuncia sostitutiva del giudice, seguendo mutatis mutandis  lo schema già oggi in essere per le sentenze di Cassazione.

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