Riportiamo qui di seguito un pezzo da "la voce.info" sulla crisi greca, in cui ritroviamo molte affinità con quella italiana, soprattutto nella disorganizzazione dei mezzi di richiesta delle imposte. Che da noi funzionano soprattutto attraverso le aziende, ed hanno problemi dove le aziende mancano, o sono inaffidabili davanti alla tassazione del loro padrone. Noi abbiamo ancora un sistema di tassazione attraverso le aziende che -tutto sommato- regge, e la crisi delle entrate viene dove le aziende non arrivano. Ma il sistema delle aziende che su dialoghi chiamiamo "del capitalismo familiare", tutto sommato ci trattiene dalla bancarotta. Certo, sarebbe meglio avere grandi  aziende istituzionalizzate ed efficienti, come la francia o la germania, ma questo è un problema di individualismo creativo, di disorganizzazione collettiva difficile da superare nell'immediato. Quindi cerchiamo di  essere contenti di quello che abbiamo , perchè è meglio "avere i soldi, ma non sapere dove andarli a prendere", come in Italia, che non sapere dove andarli a prendere ed averne anche pochi come in Grecia. Gli italiani risparmiano, hanno risparmiato, le famiglie non hanno ipotecato la casa per farsi le vacanze, il capitalismo familiare c'è per fortuna, tassa i dipendenti e i consumatori, anche se qualche volta i loro padroni fanno un pò di cresta per sè , ma dopotutto sono dei bravi fioi. Fa un pò di rabbia un capitalismo familiare che tassa gli altri e fa lo sconto a se stesso, come abbiamo scritto su Dialoghi analizzando quello che si poteva ipotizzare, da libri e articoli giornalistici, di Menarini e Marangoni. Però questo capitalismo familiare è l'unica risorsa del paese, è una struttura industriale che crea quella ricchezza e quel lavoro che la grecia non ha. Vogliamo farli crescere o farli chiudere? Se li facciamo chiudere e li sbattiamo in galera, poi gli ottocento operai si mettono a fare gli imbianchini , i fruttivendoli, i piccoli trasportatori, gli elettricisti...e allora addio ritenute. Addio gettito, addio tassazione attraverso le aziende..finiamo come i greci (del resto una faccia una razza). Dove la richiesta delle imposte attraverso le aziende non c'è, e la fanno gli uffici , che spesso pare però la facciano in proprio, come dice l'articolo su lavoce indicato all'inizio...Vogliamo cercare di evolvere verso un capitalismo tedesco, integrato pubblico e privato, istituzionalizzando le aziende e aziendalizzando la pubblica amministrazione, oppure vogliamo avvicinarsi a un paese di padroncini, con qualche lavorante, di autonomi, di pubblica amministrazione sottopagata, ma autoritaria, dove la corruzione è diffusissima per integrare lo stipendio...il rischio c'è ...italiani greci una faccia una razza ...vediamo l'articolo che segue, anche se non credo che le riforme istituzionali possano fare molto quando il tessuto sociale si è disgregato in diffidenze, recriminazioni , sospetti , corporazioni e trucchetti...

 

da "lavoce.info"

RIFORME ISTITUZIONALI, LA RICETTA PER GUARIRE LA GRECIA

di Elias Papaioannou e Dimitri Vayanos 26.08.2011

Il piano di salvataggio della Grecia non dà i risultati sperati. La recessione è più grave del previsto e cresce il malcontento della popolazione per misure di austerità sempre più pesanti. Il limite del pacchetto di aiuti concordato più di un anno fa con Unione Europea, Bce e Fmi è quello di non dare sufficiente importanza alle riforme strutturali, che invece potrebbero togliere molti degli attuali ostacoli alla crescita, spesso a costo zero per il bilancio dello Stato. Oltretutto, riforme di questo tipo avrebbero il pieno sostegno dei greci.

La crisi dell’Eurozona si è allargata all’Italia e alla Spagna, determinando acquisti di emergenza dei titoli di questi paesi da parte della Bce. Italia e Spagna hanno nello stesso tempo cercato di rafforzare le loro economie accelerando il consolidamento fiscale e le riforme strutturali: è probabile infatti che ulteriori aiuti da parte della Bce siano condizionati a passi in avanti sul terreno delle riforme. Ma i paesi del Sud Europa riusciranno a riformare con successo le loro economie? E interventi esterni come quelli della Unione Europea o della Bce in che modo possono contribuire a determinare il cambiamento? Cerchiamo di rispondere guardando al contesto greco, dove questi problemi sono più acuti e le risposte sembrano essere le più chiare.

LA GRECIA UN ANNO DOPO

Il piano di salvataggio della Grecia, concordato più di un anno fa, non riesce a raggiungere alcuni obiettivi chiave. La recessione è più grave del previsto ed è stata aggravata dal blocco del credito dovuto ai problemi del settore bancario. Le entrate fiscali sono al di sotto degli obiettivi indicati. Le riforme strutturali, necessarie, hanno subito rallentamenti. Più preoccupante è il fatto che una schiacciante maggioranza della popolazione era inizialmente favorevole al piano, mentre ora il sostegno è al di sotto del 25 per cento. Il sostegno dell’opinione pubblica è una condizione sine qua non per il successo del piano, ma sta svanendo per una serie di motivi. La recessione più grave del previsto e le nuove misure di austerità sono percepite come una prova del fallimento del piano. La mancanza di progressi nelle riforme strutturali fa sì che il piano sia associato all’austerità, che colpisce soprattutto i più poveri. E ciò contribuisce ad acuire il senso di ingiustizia: casi eclatanti di corruzione che hanno toccato politici e uomini di affari a loro vicini non sono stati perseguiti e l’evasione fiscale è ancora pervasiva ed evidente.
Poche settimane fa, la troika formata da Unione Europea, Fondo monetario internazionale e Banca centrale europea ha deciso di continuare ad aiutare la Grecia con un gigantesco nuovo piano di sostegno. E tuttavia ci sono due prerequisiti, che mancavano in quello iniziale, per il successo del nuovo piano: il governo greco deve comunicare all’opinione pubblica i benefici del piano, come finora non ha fatto, e deve fare reali progressi verso profonde riforme strutturali. Tra queste ci sono ovviamente le riforme specificate nel piano di salvataggio iniziale, come la liberalizzazione del mercato del lavoro e dei prodotti, la privatizzazione delle imprese di proprietà dello Stato, l’apertura delle professioni chiuse, il rafforzamento dei meccanismi di riscossione delle tasse. Ma vi vanno ricomprese anche riforme più profonde come l’introduzione di meccanismi di responsabilità e incentivi nel settore pubblico (dove gli esattori fiscali corrotti vengono multati con il congelamento dello stipendio per sei mesi), il miglioramento dell’assurdamente lento e inefficiente sistema giudiziario (dove occorrono anni per risolvere anche le dispute più semplici e per perseguire i casi di corruzione), il rafforzamento dell’efficacia e del controllo delle politiche e l’introduzione di rigidi meccanismi di corporate governance per garantire gli azionisti di minoranza e i creditori.
Le riforme istituzionali avranno importanti effetti sulla crescita perché rimuoveranno gli ostacoli principali agli investimenti e all’attività di impresa. Alcuni di questi benefici si vedranno rapidamente e ciò permetterà di rendere meno pesanti le misure di austerità (ad esempio, quelle sui pensionati a basso reddito, che hanno subito tagli pesanti), aumentando così la popolarità del piano. D’altra parte, le riforme istituzionali sono già popolari, perché l’opinione pubblica comincia ad essere sempre più consapevole che le piccole minoranze protette dalla mancanza di riforme (ad esempio, coloro che appartengono alle professioni chiuse, gli impiegati pubblici corrotti e i fornitori dello Stato) godono di grandi vantaggi finanziati da tasse elevate.

RIFORME IN PRIMO PIANO

La riuscita del cambiamento istituzionale richiede modifiche al disegno del piano iniziale e alla sua attuazione. La troika dovrebbe dare mettere l’accento su queste riforme rispetto agli obiettivi fiscali e dare alla Grecia il tempo e le risorse (modeste) per realizzarle. Un’enfasi che invece finora è mancata (anche se con il nuovo piano la troika sembra aver assunto una strategia di ampio orizzonte). Per esempio, il piano non fa cenno al miglioramento del sistema giudiziario o dei meccanismi di governance societaria, che pure si potrebbero ottenere con interventi semplici: la computerizzazione garantirebbe un miglioramento a costi bassi dell’efficienza e della trasparenza dei tribunali. Se si ponessero limiti ai rinvii dei processi (oggi non è raro che per un caso si arrivi a cinque rinvii), si avrebbero forti vantaggi a costo zero per il bilancio statale. L’estensione dell’applicabilità dei “processi modello” a casi tributari standardizzati garantirebbe nuove entrate e renderebbe più veloce la giustizia. Si possono fare infiniti esempi.
Le riforme istituzionali sono in secondo piano anche nell’attuazione del piano. Per compensare la mancanza di entrate fiscali, il governo è stato costretto a decidere nuove misure di austerità, che hanno reso ancora più grave la recessione. Tuttavia, quando in molti casi la liberalizzazione del mercato è stata inferiore a quanto richiesto (cabotaggio marittimo, apertura delle professioni di farmacisti, notai e avvocati), la troika non imposto al governo le stesse condizioni. E anche nell’attuale dibattito sulle privatizzazioni, la troika si concentra in modo miope sulle procedure di breve periodo, sottovalutando la governance delle aziende da privatizzare e la struttura competitiva dei settori industriali nei quali dovranno operare.
Passi avanti delle riforme istituzionali richiedono anche il rafforzamento dell’amministrazione pubblica della Grecia. La mancanza di meritocrazia e l’assenza di responsabilità hanno prodotto una burocrazia disfunzionale, largamente incapace di attuare le profonde riforme richieste. Il recente taglio dei salari, il tetto agli stipendi dei funzionari pubblici e il blocco delle assunzioni hanno aggravato il problema, demoralizzando gli attuali impiegati e rendendo difficile l’assunzione dei talenti, che invece è necessaria.
Le agenzie governative chiamate a svolgere compiti fondamentali come la lotta all’evasione fiscale, il disegno del processo di privatizzazione e l’attuazione della riforma del mercato dei prodotti e del mercato finanziario non hanno personale specializzato. La troika dovrebbe contribuire a rimediare alle deficienze dell’amministrazione fornendo l’expertise tecnica e risorse designate per specifici progetti. E tuttavia le riforme dovrebbero essere concepite e attuate dai greci, sia quelli che vivono nel paese sia quelli che compongono la vivace diaspora. Ciò rafforzerebbe la legittimità del piano agli occhi dell’opinione pubblica e riporterebbe in patria un capitale umano più che necessario e che in Grecia resterebbe sicuramente dopo il periodo di aggiustamento.
Le posizioni più alte dell’amministrazione pubblica dovrebbero essere ricoperte da tecnocrati greci di talento, con stipendi più alti. Per prevenire critiche populiste e l’assunzione di persone fedeli ai partiti, la selezione dei candidati dovrebbe essere approvata da commissioni parlamentari, forse a maggioranza qualificata. L’enfasi sulle riforme istituzionali richiederebbe naturalmente risorse supplementari da parte della troika, ma sarebbero davvero poco in confronto al ritorno così generato: una possibilità di successo del piano di salvataggio significativamente maggiore e il sostegno del popolo greco, che disperatamente vuole vedere cambiamenti forti nel paradigma di crescita del paese.
Considerato il gigantesco impegno finanziario della troika verso la Grecia e l’ampio orizzonte del nuovo piano, sarebbe disastroso focalizzarsi in modo miope sulle entrate fiscali mese per mese o sulle procedure di privatizzazione invece di guardare al quadro istituzionale che determinerà la crescita di lungo periodo dell’economia greca.

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