Nullità del trust e protagonismo giudiziario

Questo post non ha propriamente un oggetto fiscale, anche se si collega comunque idealmente alle pronunce della Cassazione sull'esistenza di un'imposta sui vincoli di destinazione, applicabile ai trust e ad ogni altro tipo di vincolo (ad esempio ai fondi patrimoniali, ai vincoli ex art. 2645-ter etc.).

Molti sapranno che con una recente sentenza il Tribunale di Udine ha concluso, del tutto a sorpresa visto il trend giurisprudenziale ormai consolidato, addirittura  per la nullità dei trusts interni (invece che accogliere l'azione revocatoria, chiesta da parte attrice), per la seguente ragione: si tratterebbe di atti di costituzione da dichiararsi nulli per impossibilità giuridica dell'oggetto, "in quanto volti a creare una forma di segregazione patrimoniale non prevista e non consentita dal nostro ordinamento (v. art. 2740 comma 2 che non consente limitazioni della responsibilità se non nei casi previsti dalla legge). Ciò rende nulli per mancanza di causa o per impossibilità giuridica del risultato voluto dalle parti anche gli atti di disposizione con cui... conferirono i loro beni immobili nei rispettivi trusts". 

Ora, mettiamo pure - come si legge nella sentenza - che la Convenzione dell'Aja non imponga all'Italia di riconoscere trust privi di elementi di estraneità col nostro ordinamento, e che i giudici italiani possano esaminare la compatibilità del cd. trust interno con le nostre norme imperative. Da tutto questo non derivano affatto le conseguenze, in termini di nullità del trust (di qualsivoglia trust), affermate dal giudice udinese, che si ha a questo punnto il sospetto non sappia bene di cosa parla: ridotta la vicenda all'osso, il trust comporta trasferimento dei beni a una sorta di mandatario/fiduciario, che gestisce i beni nell'interesse di terzi. Come si fa a dire che questo schema non è meritevole di tutela e contrasta con l'art. 2740 cc? Allora il contrasto esiste  anche con le fondazioni private, la fiducia cum amico, l'art. 2645-ter cc, ma anche con gli atti che veicolano una liberalità, con le intestazioni societarie etc. etc.
 
Se il giudice riteneva che gli atti di trasferimento erano pregiudizievoli per i creditori, era più che sufficiente l'inopponibilità del trasferimento o l'accoglimento dell'azione revocatoria. E se proprio voleva sindacare i trust, il giudice doveva sindacare quei particolari trust, non l'istituto in quanto tale: ad esempio se avesse rilevato che il disponente aveva mantenuto una forte ingerenza o controllo sui beni trasferiti, se i beneficiari non erano terzi rispetto al disponente, se vi fossero indizi di una simulazione, e così via. Invece la nullità del trust in quanto tale, per una sua pretesa contrarietà al principio di responsabilità patrimoniale del debitore estesa a tutti i "suoi" beni, è destabilizzante oltre che palesemente erronea: l'art. 2740 cc. postula infatti che i beni appartengano al debitore, mentre col trasferimento al trust i beni non sono più "suoi".
 
Non so se ascrivere la sentenza di Udine a un malinteso "protagonismo" giudiziario, c'è però da riflettere sull'appiattimento sul normativismo, e il suo operare a corrente alternata. In realtà dietro a un normativismo di facciata le istituzioni (almeno quelle giudiziarie) fanno quello che vogliono, come ha fatto anche la Cassazione inventandosi un'imposta che non c'è (quella sui vincoli di destinazione).
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